Cambia l’articolo 18 ed il premier Matteo Renzi insiste sul fatto che, messo da parte il «dibattito ideologico», il Jobs Act «non toglie diritti, ma toglie solo alibi, ai sindacati, alle imprese, ai politici».
Con le novità della delega, si fissa il solo indennizzo economico «certo e crescente» con l’anzianità di servizio per i licenziamenti economici, mentre il reintegro sul posto di lavoro resta per i licenziamenti discriminatori (mai stati in discussione) e viene limitato a «specifiche fattispecie» di licenziamento disciplinare ingiustificato, che verranno dettagliate nei decreti legislativi che arriveranno dopo l’ok definitivo al ddl delega sul lavoro. Decreti che saranno operativi, come nelle intenzioni del governo, già a inizio gennaio.
Esprime “soddisfazione” per il percorso che “ha portato ad una mediazione positiva, che chiarisce ulteriormente i contorni della delega nel capitolo delicato delle tutele”, il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, in commissione per i lavori: “Avanti dunque con un’opera impegnativa e complessa di riforma, per dare al più presto risposte alle persone in carne ed ossa che fuori da qui aspettano un segnale concreto di cambiamento”.
Nessun imprenditore dirà mai che licenzia per le idee politiche o l’orientamento sessuale del dipendente, cosa proibita da legge e Costituzione, ma lo definirà «economico». Non è chiaro se spetta al lavoratore o meno dimostrare il contrario. In ogni caso maternità, malattia, credo religioso e affini non possono essere causa di licenziamento.Con il Jobs Act, intanto, la prima novità sarà che un giudice interverrà sempre, e di norma concederà solo un’indennità economica nei casi non giustificati e per alcune tipologie di situazioni il giudice potrà prevedere anche il recupero del posto di lavoro.
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